martedì 6 novembre 2012


«Non scriverei versi se non credessi nel genere umano»

La Sicilia Cultura 05.11.2012

Intervista al poeta Giovanna Frene

a cura di Grazia Calanna

 

Scrivere poesia. Dimorando l’esistenza. Meditando il dolore. Ghermendo la storia. La storia, estensione (ricorrente) in cui pensiero e azione quadrano, e con essi compimento, testimonianza, interpretazione, casualità. È questo l’assunto che regge “Il noto, il nuovo” dell’autrice veneta Giovanna Frene (Transeuropa Edizioni) con la quale abbiamo amabilmente conversato.

Quali i poeti dell’anima?

Saffo, Emily Dickinson, Edgar Allan Poe, Amelia Rosselli, Giorgio Caproni, Andrea Zanzotto, Francesco Petrarca, Charles Baudelaire, John Donne; più tardi, Paul Celan. Zanzotto è stato il poeta cardine nella mia formazione, per la vastità delle sue scoperte poetiche, per la sua intelligenza, per il suo ascolto del mondo; ricordo ancora che la sua prima lettura fu una vera e propria esperienza estetica nuova, e non è stato facile staccarmi poi da lui e iniziare il mio personale tragitto nella poesia – di sicuro questo distacco è stato un superamento, in senso hegeliano, con tutti i dolori di una separazione”.

Qual è l’insegnamento principe del poeta diletto?

“È la sua estrema attenzione al linguaggio, nei suoi due aspetti (cosa e come dire) - cosa che non è stata molto recepita, devo dire, nella poesia italiana successiva a lui, troppo infagottata su se stessa per potersi aprire al rischio inaudito di mettere in corto circuito contenuto e forma. Il rischio messo in atto per primo da Zanzotto però, anche se sembra l'opposto, è prima di tutto inerente al contenuto, a cui di conseguenza sono seguite parole e strutture grammaticali adeguate: esiste infatti in Zanzotto un limite a ciò di cui la poesia può trattare? No. Ecco il punto. Sono riflessioni che sto maturando ultimamente, perché invece da giovane ero stata attratta dall'estremo brillio dalla superficie, dal significante della sua poesia, così instabile, baluginante, frantumato, scisso nella  profondità stessa del dire. La scissione del textus zanzottiano è prima di tutto nel contenuto: forse è lui il primo poeta postmoderno italiano”.

Per Zanzotto la poesia “è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo della speranza, dell'anelito dell'uomo verso il mondo superiore”, per la Frene?

Vorrei soffermarmi su queste parole di Zanzotto: ora che è morto, risuonano anche pregne di una certa religiosità (e lo dico con cautela, anche perché non vuol certo dire religione), perché Andrea era prima di tutto un uomo che aspirava alla giustizia e al bene. Che altro è la poesia se non questa, poco segreta e platonica, aspirazione? Per me la poesia, e l'ho già detto altre volte, rappresenta il mio modo di vedere e conoscere il mondo; non sono esplicitamente ottimista, ma devo dire che non scriverei se non sperassi che questo linguaggio così speciale e fluido possa  attraversare il freddo metallo spazio-tempo della violenza umana, e depositarsi sul sostrato positivo che permette al genere umano di sussistere nonostante tutto”.

Può esistere poesia malgrado esista una frattura insanabile tra pensiero/scrittura e azione/condotta? “La poesia può di fatto esistere malgrado tutto, e specialmente malgrado chi la scrive. Seguendo quanto dice Proust, c'è di fatto una bella scissione tra scrittore e essere vivente, anche e specialmente per chi vede tutto da esterno: il nostro prossimo. Propenderei poi per lasciare aperto il dubbio su quale di queste due dimensioni inglobi l'altra, o se siano due insiemi che si intersecano, o se siano due monadi che si sfiorano”.

“Mentiamo in ogni momento a noi stessi: / viene dall'atto dell'abrasione il nesso di colpevolezza, / dal non mantenere inalterato l'abominio / comunque compiuto”. Potrà (in che modo) il nuovo scompagnarsi dal noto?

Il  nuovo nella storia è la medesima violenza che si reitera, e dunque rimaniamo nell'ambito del noto, cambiando solo forme, soggetti e oggetti. Tuttavia, la direzione in cui ultimamente sta andando il mio pensiero mi porta a dire che ci sono eventi che appunto sono nuovi, e che la loro novità sia irriducibile a qualsiasi elemento noto. La Shoah è uno di questi eventi. Il poeta  può e deve ancora nominare un evento, o evocarlo, per ridare forma a fantasmi che spesso la società non vuole più vedere”.                        

GRAZIA CALANNA